“Nella falsa società il riso ha colpito la felicità come una lebbra e la trascina con sé nella sua totalità insignificante. Ridere di qualcosa è sempre deridere, e la vita che, secondo la tesi di Bergson, spezzerebbe nel riso la sua crosta irrigidita, è – in realtà – l’irruzione della barbarie, l’affermazione di sé, che, nell’occasione sociale che le si offre, prende il coraggio a due mani e celebra la sua liberazione da ogni scrupolo. Il collettivo di quelli che ridono è la parodia della vera umanità. Sono monadi chiuse in se stesse, ciascuna delle quali si abbandona alla voluttà di essere pronta e decisa a tutto, a spese di tutte le altre e con la maggioranza dietro di sé.” (Theodor W. Adorno, Max Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, traduzione Renato Solmi)
Perché tra tutti i pronomi personali “noi” è il più pericoloso? Ho così tanta nostalgia del “noi” della giovinezza e di quello dell’appartenenza politica che l’aver capito (lo dico con la dovuta cautela, ma temo di non sbagliarmi) che è il veicolo di ogni etica totalitaria, palese o dissimulata o del tutto occulta che sia, mi provoca una sensazione di disgusto per la ragione umana. Non sarebbe meglio lasciarsi andare all’entusiasmo rassicurante di un “noi” possibilmente maggioritario (ma anche corposamente minoritario andrebbe bene)? È una tentazione fortissima, ma quanto è pericolosa?
Certo, di “noi” nelle società liberali ce ne sono tanti (e non dirò mai che non sia una fortuna). Ma ognuno sembra chiudersi sempre più nel bozzolo di un gruppo uniforme dove tutti pensano allo stesso modo e sono pronti ad espellere (accompagnandolo con pesanti offese) l’estraneo casualmente capitato tra di loro. Capita nei gruppi dei social network, ma non solo. Pare sia una progressiva tendenza ad evitare il fastidioso confronto tra idee diverse. Si adottano le idee del gruppo di persone che si frequenta, credendo che corrispondano esattamente alle proprie (senza rendersi conto di adeguare in realtà le proprie idee a quelle del gruppo) e si cessa la noiosa revisione delle proprie convinzioni (una tempo si chiamava “autocritica”, ma ora credo non abbia più nome). Quanto a chi “non la pensa come noi”, la presa in giro e la derisione sono il trattamento d’elezione in ogni gruppo. È pur sempre meglio della gogna e di un gulag, ma il passaggio da “una risata vi seppellirà” a “una risata mi impedirà di parlare con voi” è la fine di ogni possibilità di confronto dialettico.