L’immaginario politico

“Il pericolo più grande corso oggi dal movimento rivoluzionario italiano: il suo impoverirsi a una concezione e a una pratica della politica, del potere e della comunicazione che sono sullo stesso piano del suo avversario, perdendo per strada le ragioni stesse del suo essere diverso. Di qui l’impressione, che abbiamo avuto spesso in questi mesi, che i rivoluzionari stessero giocando la parte del topo nei confronti del gatto, che le loro sortite, in quanto obbligate, fossero previste e utilizzate ai fini di una rappresentazione edificante per le masse, sotto la regia del potere.” (L’erba voglio n.8/9, Febbraio 1973)

L’errore del rivoluzionario (oggi,  da noi, si direbbe “antagonista”,  per mancanza di possibilità reali di cambiamento profondo) è credere di potere fare spontaneamente la cosa politicamente giusta. Ogni azione politica è, almeno implicitamente, la rappresentazione di una posizione, e come ogni rappresentazione va concepita con attenzione, per evitare che sia male interpretata non solo da chi ne è spettatore, ma persino da chi ne è partecipe e ripenserà, tornando a casa, alla storia che ha appena vissuto. Le manifestazioni attuali della sinistra antagonista italiana sembrano soffrire di questa sindrome dello spontaneismo in modo ancora più acuto di quanto avvenisse alla sinistra rivoluzionaria degli anni settanta.

FachinelliNon si riflette sull’Immaginario politico. Concetto fondamentale , analizzato profondamente da uno dei principali autori dell’Erba voglio, Elvio Fachinelli, utile non solo per interpretare la politica di allora, ma soprattutto questa asfittica e più incolta che viviamo oggi e, di malavoglia, subiamo. E’ in un universo immaginario che avvengono le azioni dichiarate politiche (l’attentato di un terrorista, in questo senso, contende il palcoscenico a un’inattuabile proposta di riduzione delle tasse e al viaggio del Papa a Lesbo). Si lotta per conquistare l’attenzione degli spettatori e dei lettori, per suscitare rabbia, emozione, pietà, ottimismo. Chi entra nel discorso politico, in qualsiasi modo, appare sul palcoscenico e deve cercare di recitare la sua parte meglio che può. Buone o cattive che siano le intenzioni, ciò che vince è l’effetto. A volte il copione è sbagliato, ma riusciamo a capirlo solo alla fine della rappresentazione.

Non è una situazione anomala, facendo parte della nostra “normalità”. Qualsiasi azione umana, in fondo, esiste storicamente solo in virtù della sua rappresentazione. Se non viene rappresentata, è pre-istorica, dettata da un bisogno immediato simile a quello dell’animale. Niente ci separa dal comportamento dei politici, perché anche noi recitiamo, e rappresentiamo, spesso, lo spettacolo delle nostre vite,  avendo gli altri come spettatori e, soprattutto, noi stessi. L’autenticità è la più difficile delle virtù, e quando viene proclamata bisogna più che mai diffidare.

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